“Ministerium Iustitiae”

Inaugurazione Anno Giudiziario
20-03-2023

“Carissimi,

l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario è un’occasione favorevole per riflettere su come il Diritto Canonico sia al servizio del credente, sia espressione del suo vivere quotidiano. Il Santo Padre in più occasioni e anche recentemente ai partecipanti al Corso di formazione per gli Operatori del Diritto promosso dal Tribunale della Rota Romana (18-02-2023) ha ribadito la necessità di coniugare la giustizia con l’annuncio del Vangelo. Ha affermato che «il nucleo del diritto canonico riguarda i beni della comunione, anzitutto la Parola di Dio e i Sacramenti. Ogni persona e ogni comunità ha diritto – ha diritto – all’incontro con Cristo, e tutte le norme e gli atti giuridici tendono a favorire l’autenticità e la fecondità di questo diritto, cioè di tale incontro».

La centralità è data alla persona in Cristo Gesù. Vi è un’evidente linea personalistica che salvaguarda e custodisce il valore del credente dagli attacchi del relativismo morale per approdare alla difesa della dignità di ogni uomo e di ogni donna. Il secondo aspetto riguarda la linea ecclesiologica del Diritto Canonico. Il Diritto Canonico serve la comunità cristiana. Quest’ultima sta al centro dell’interesse giuridico, perché si possa esprimere nella pienezza della sua natura. Persona e comunità rappresentano le fondamenta del pensare canonico della Chiesa che favorisce l’autenticità e la fecondità dell’incontro con Gesù Cristo.

La mia riflessione intende sottolineare il valore della persona che ha diritto all’incontro con Gesù Cristo. Dalle prime battute dell’Evangelii gaudium Papa Francesco esorta la comunità cristiana a riscoprire la bellezza dell’incontro con Gesù Cristo, a vivere la gioia espressa dall’annunciare il Vangelo di salvezza. L’incontro personale con Gesù corrobora la crescita umana, anzi la santifica, facendola essere sempre più somigliante al Verbo incarnato. Il Diritto ecclesiale non può non considerare che quell’incontro trasformante con Gesù deve essere sempre più autentico e sempre più capace di realizzare rapporti più fraterni, più familiari. Salvaguardare l’autenticità dell’incontro comporta una chiara visione sia di ciò che ne aumenta il valore sia dei pericoli che la minano. Il Diritto ecclesiale in prima istanza mostra la via maestra della crescita della persona e della comunità. Non bisogna viverlo come espressione solo ed esclusivamente sanzionatorio, quanto piuttosto come un aiuto al vivere in profondità il messaggio evangelico.

Per annunciare la gioia dell’aver incontrato Cristo c’è bisogno di testimoniarlo concretamente nel praticare la giustizia, nel soccorrere l’orfano e la vedova, nel vestire chi è nudo, nel visitare chi è in carcere. Difendere la pace, promuovere chi sta ai margini della società rientrano nella vita del singolo credente come dell’intera comunità cristiana. Il Diritto ecclesiale diventa così uno strumento necessario, perché sia salvaguardata la vita dei più piccoli, di coloro che non hanno voce per farsi sentire dai più grandi. Esso, allora, realmente è al servizio degli ultimi di chi ha incontrato Gesù Cristo nella sua vita e desidera testimoniarlo.

L’autenticità della testimonianza cristiana è un vivere concretamente la propria appartenenza a Cristo nella comunione fraterna. È fare esperienza dell’amore liberante di Gesù Cristo che conduce ciascuno a scoprire la propria unicità a servizio della Chiesa e della società civile. Tutto si gioca proprio sul valore che diamo all’autenticità dell’incontro con Gesù, perché esso comporta la partecipazione alla vita ecclesiale sorretta dai sacramenti e dalla comunione reciproca.

Chi può decidere se l’esperienza vitale con Gesù è autentica? È proprio la comunione ecclesiale, il “luogo teologico”, dove si sperimenta l’autenticità dell’incontro. È nella vita della Chiesa che si sviluppa il proprio essere somigliante al Verbo di Dio. Ecco che persona e comunità si relazionano in uno scambio fruttuoso, in cui l’attestazione dell’autenticità è data dal vivere insieme come fratelli, avendo Gesù Cristo, Maestro e Modello di ogni perfezione (Lumen Gentium, 40). Nella comunione ecclesiale ognuno favorisce la crescita di tutti gli altri, impegnandosi nella propria vocazione a portare frutti di salvezza. L’autenticità di ciascuno dei suoi membri rende più santa l’intera comunità. La Chiesa risplende di luce, proprio a partire dal generoso contributo di ogni discepolo di Gesù Cristo.

Il rinnovamento della Chiesa, la sua riforma, ha inizio proprio dall’essere conformi agli insegnamenti di Gesù Cristo. L’autenticità porta con sé la voglia di rinnovarsi – direi – di convertirsi, perché si possa essere un vangelo vivente. È evidente che ogni rinnovamento della persona e della comunità è frutto dell’azione dello Spirito che guida la Chiesa verso il Regno del Padre. Ciò che a volte è sanzionato dal Diritto Canonico riguarda quegli atteggiamenti, quelle situazioni, quei contrasti che non favoriscono l’autenticità e bloccano la crescita del singolo e della comunità. Portare frutto, per la crescita qui ed ora del Regno, comporta un riconoscere quelle fragilità, limiti, incongruenze che possono essere descritte come fattori di inautenticità.

Il compito di chi amministra la giustizia nei Tribunali ecclesiastici non è quello di far sentire le persone come oggetti del diritto, ma come dei credenti che hanno toccato con mano la propria debolezza e che condividono con dolore le loro storie lacerate da profonde ferite. Hanno bisogno di essere ascoltati, ancor prima di essere giudicati. Hanno bisogno di trovare uomini e donne che compatiscono le loro miserie, per cui si fanno compagni di viaggio per ritrovare l’autenticità dell’incontro con Gesù. Un atteggiamento da burocrate del sacro non favorisce l’apertura del cuore, perché mostra il lato formale e rigido della norma, dimenticando i principi propri del Diritto ecclesiale.

Per il Papa «non bisogna dimenticare il principio più grande, quello dell’evangelizzazione: la realtà è superiore all’idea, il “concreto” della vita è superiore al formale, sempre; la realtà è superiore a qualsiasi idea, e questa realtà va servita con il diritto». Allora assumere il principio dell’evangelizzazione significa considerare la realtà concreta di chi si affaccia al Tribunale ecclesiastico; comporta un vero discernimento spirituale da parte di chi sta a giudicare come di chi chiede giustizia. Non basta sanzionare, perché si possa risolvere una questione, ma c’è bisogno di accompagnare chi è caduto nel peccato e nell’errore, perché possa nuovamente essere nella comunione con Dio e con i fratelli.

Le ferite di uno toccano nell’intimo tutta la comunità. Non possiamo dimenticare che il mysterium iniquitatis influenza ogni realtà ecclesiale. È il mysterium paschale, così come diceva San Giovanni Paolo II, che ci fa essere uomini e donne rigenerati dallo Spirito del Risorto. Il compito di chi opera nei Tribunali è proprio quello di far sentire la forza trasformante della Pasqua del Signore che vince ogni peccato e ogni errore. Le ferite possono diventare feritoie. Far sentire la presenza di una comunità madre e non matrigna che si preoccupa dei suoi figli che hanno sperimentato il dolore della caduta. In questo modo il Diritto ecclesiale mostra come la giustizia si coniuga con la misericordia del Padre che attende sempre la venuta del figlio, accogliendolo con carità nella verità.”

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