“Otto giorni dopo Natale, il Vangelo ci riporta alla grotta di Betlemme, alla visita dei pastori odorosi di latte e di lana, sempre dietro ai loro agnelli, che arrivano di notte guidati da una nuvola di canto. E Maria, carica di stupore, tutto custodiva nel cuore! Scavava spazio in sé per quel bambino, figlio dell’impossibile e del suo grembo; e meditava, cercava il senso di parole ed eventi, di un Dio che sa di stelle e di latte, di infinito e di casa. Non si vive solo di emozioni e di stupori, e lei ha tempo e cuore per pensare in grande, maestra di vita che ha cura dei suoi sogni.
All’inizio dell’anno nuovo, quando il tempo viene come messaggero di Dio, la prima parola della Bibbia è un augurio, bello come pochi: il Signore disse: Voi benedirete i vostri fratelli (Nm 6,22) Voi benedirete… è un ordine, è per tutti. In principio, per prima cosa anche tu benedirai, che lo meritino o no, buoni e meno buoni, prima di ogni altra cosa, come primo atteggiamento tu benedirai i tuoi fratelli. Dio stesso insegna le parole: Ti benedica il Signore, scenda su di te come energia di vita e di nascite. E ti custodisca, sia con te in ogni passo che farai, in ogni strada che prenderai, sia sole e scudo.
Faccia risplendere per te il suo volto. Dio ha un volto di luce, perché ha un cuore di luce. La benedizione di Dio per l’anno che viene non è né salute, né ricchezza, né fortuna, né lunga vita ma, molto semplicemente, la luce. Luce interiore per vedere in profondità, luce ai tuoi passi per intuire la strada, luce per gustare bellezza e incontri, per non avere paura. Vera benedizione di Dio, attorno a me, sono persone dal volto e dal cuore luminosi, che emanano bontà, generosità, bellezza, pace. Il Signore ti faccia grazia: di tutti gli sbagli, di tutti gli abbandoni, in tutte le cadute. Lui non è un dito puntato, ma una mano che rialza.
Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace. Cosa ci riserverà l’anno che viene? Io non lo so, ma di una cosa sono certo: il Signore si volterà verso di me, i suoi occhi mi cercheranno. E se io cadrò e mi farò male, Dio si piegherà ancora di più su di me. Lui sarà il mio confine di cielo, curvo su di me come una madre, perché non gli deve sfuggire un solo sospiro, non deve andare perduta una sola lacrima. Qualunque cosa accada, quest’anno Dio sarà chino su di me. Perché Dio è tenerezza!
E ti conceda pace: la pace, miracolo fragile, infranto mille volte, in ogni angolo della terra. Ti conceda Dio quel suo sogno, che sembra dissolversi ad ogni alba, ma di cui Lui stesso non ci concederà di stancarci.
L’anno si apre nel nome della Madre di Dio. Madre di Dio è il titolo più importante della Madonna. Dobbiamo essere grati perché in queste parole è racchiusa una verità splendida su Dio e su di noi. E cioè che, da quando il Signore si è incarnato in Maria, da allora e per sempre, porta la nostra umanità attaccata addosso. Non c’è più Dio senza uomo: la carne che Gesù ha preso dalla Madre è sua anche ora e lo sarà per sempre. Dire Madre di Dio ci ricorda questo: Dio è vicino all’umanità come un bimbo alla madre che lo porta in grembo. La parola madre (mater), rimanda anche alla parola materia. Nella sua Madre, il Dio del cielo, il Dio infinito si è fatto piccolo, si è fatto materia, per essere non solo con noi, ma anche come noi. Ecco il miracolo: l’uomo non è più solo; mai più orfano, è per sempre figlio. E noi la proclamiamo così, dicendo: Madre di Dio! È la gioia di sapere che la nostra solitudine è vinta. È la bellezza di saperci figli amati, di sapere che questa nostra infanzia non ci potrà mai essere tolta. È specchiarci nel Dio fragile e bambino in braccio alla Madre e vedere che l’umanità è cara e sacra al Signore. Perciò, servire la vita umana è servire Dio e ogni vita, da quella nel grembo della madre a quella anziana, sofferente e malata, a quella scomoda e persino ripugnante, e va accolta, amata e aiutata.
Maria custodiva, prosegue il Vangelo, tutte queste cose, meditandole. Quali erano queste cose? Erano gioie e dolori: da una parte la nascita di Gesù, l’amore di Giuseppe, la visita dei pastori, quella notte di luce. Ma dall’altra: un futuro incerto, la mancanza di una casa, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7); la desolazione del rifiuto; la delusione di aver dovuto far nascere Gesù in una stalla. Speranze e angosce, luce e tenebra: tutte queste cose popolavano il cuore di Maria. E lei, che cosa ha fatto? Le ha meditate, cioè le ha passate in rassegna con Dio nel suo cuore. Niente ha tenuto per sé, niente ha rinchiuso nella solitudine o affogato nell’amarezza, tutto ha portato a Dio. Così ha custodito. Affidando si custodisce: non lasciando la vita in preda alla paura, allo sconforto, non chiudendosi o cercando di dimenticare, ma facendo di tutto un dialogo con Dio. E Dio che ci ha a cuore, viene ad abitare le nostre vite. Ecco i segreti della Madre di Dio: custodire nel silenzio e portare a Dio. Ciò avveniva, conclude il Vangelo, nel suo cuore. Il cuore invita a guardare al centro della persona, degli affetti, della vita.
Anche noi, cristiani in cammino, all’inizio dell’anno sentiamo il bisogno di ripartire dal centro, di lasciare alle spalle i fardelli del passato e di ricominciare da ciò che conta. Ecco oggi davanti a noi il punto di partenza: la Madre di Dio. Perché Maria è come Dio ci vuole, come vuole la sua Chiesa: Madre tenera, umile, povera di cose e ricca di amore, libera dal peccato, unita a Gesù, che custodisce Dio nel cuore e il prossimo nella vita. Per ripartire, guardiamo alla Madre. Nel suo cuore batte il cuore della Chiesa.
Nostra speranza è oggi la pace. L’anno nuovo comincia con questo impegno. Ma non può essere un rito celebrativo. Se non ci scomoda, se non ci fa stare sulle spine, se non ci induce a salire sulle barricate, se non ci sollecita a scelte che costano, saranno solo buone emozioni. Gravi situazioni di non pace sono presenti in tutto il mondo. Le logiche della guerra imperversano ancora, e dai campi di battaglia hanno traslocato sui tavoli di un’economia che massacra i poveri. Il commercio delle armi non accenna a fermarsi, la violazione dei diritti umani espressa su popoli interi continua a turbarci e ogni operazione di guerra e ogni violazione della giustizia si tramutano in allucinanti serbatoi di paure cosmiche. Per dire basta alla guerra, è necessaria la forza della pace e per dire pace è necessario dire amore. Dire amore è accantonare la morte, l’odio, l’indifferenza. Dire amore è dire vita, fioritura, generatività. Dire vita è non cedere il passo alla morte, alla violenza, all’indifferenza, alla paura. Dire vita è dire cura, è mano che rialza, carezza che riscalda, parola che conforta.
Dire basta non basta. È necessario disarmare. E il disarmo non lo si fa giocando al più forte e abbattendo il più debole. Il disarmo avviene nella cura della relazione autentica, vera, concreta. Il disarmo moltiplica, non divide; avvicina, non allontana. Il disarmo avviene nella forza della verità e dell’amore. Come sempre la prima vittima di ogni guerra è la verità. Le armi non hanno parola, le armi hanno solo il fragore che uccide ogni parola: sono la morte della parola. Perciò gridiamo ancora più forte oggi: tacciano le armi.
Stiamo vivendo in uno scenario triste e scoraggiante. Ma non dobbiamo lasciarci sopraffare dal senso d’impotenza e di scoramento. È tempo di imparare a resistere… Quanto stiamo vedendo in Tv e leggendo dai giornali in questo tempo è atroce, ma ancora più atroce è trovarsi nelle situazioni di cui noi stiamo apprendendo a distanza. Atroce è ritrovarsi un figlio morto tra le braccia; atroce è non avere più casa, non avere più pane, non vedere più alcuna speranza di futuro. Quella gente, quei nostri fratelli e sorelle, stanno perdendo casa, pane, vita. Quei nostri fratelli e sorelle sono diventati fratelli e sorelle di sangue, di lacrime, di dolore. Portano tutti lo stesso strazio nel cuore. Quei nostri fratelli e sorelle sono nostri fratelli e sorelle.
C’è una guerra non dichiarata, ancor più pericolosa, ipocrita, subdola nascosta. L’economia dei grandi monopoli e delle grandi ricchezze non è mai innocente rispetto a tutto quello che sta avvenendo. La pace senza giustizia non fa che produrre altre guerre. Ci sono stati troppi che hanno detto e che si sono augurati di essere equidistanti. Ma noi vogliamo essere equivicini. Equi per una soluzione giusta, perché ci sia rispetto dei diritti, della libertà e della dignità per tutti. Vicini al dolore, alla sofferenza, all’angoscia di tutti. Questo è un dovere di umanità e di civiltà. Ma non è possibile assistere impassibili agli altri massacri, alle esecuzioni, alle guerre.
Spesso si uccide con una mano, con una parola, con uno sguardo e anche con il non detto, con il non fatto, con il non veduto. La mancanza di mediazione, di trattative, di ascolto, di perdono, di bene, di umanità. Allora, per dire basta, per mettere fine, bisogna prendere con sé. Prendi con te il dolore dell’altro, dell’altra, fallo tuo; afferra ogni grido e ogni sibilo di disperazione, senti il tuo sangue impastarsi delle lacrime di quella gente, delle tue lacrime. Ogni vita è sacra. Se in quei prigionieri non riusciremo a scorgere la nostra stessa carne, non potremo mai liberarli. Se quel dolore lo guardiamo soltanto dai nostri tablet o dalle riviste che leggiamo comodamente dalle poltrone di casa nostra, non siamo degni di poter dire: basta.
Verrà la pace se sapremo avere pensieri di pace, sogni di pace, parole di pace, gesti di pace; nella quotidianità, in famiglia, con gli amici, nei luoghi del lavoro, sui social. La pace non può venire all’improvviso, viene se, come la goccia scava la roccia, ci saranno piccoli passi quotidiani a costruirla.
Verrà la pace se saprò riconoscere in chi ho accanto un fratello, una sorella da accogliere, accarezzare, amare. Verrà la pace se non mi piegherò alla logica del potere e dell’opportunismo, ma starò dalla parte della verità e della giustizia anche quando questo comporta fatica, anche quando questo mi chiede di dover fare un passo indietro.
Verrà la pace se io per primo riuscirò a coltivare dentro di me sentimenti di bene, di cura, di custodia della vita. E allora sapremo anche perdonare, perché il perdono è quella fragranza che emanano i fiori dopo essere stati calpestati. Proviamo a costruire percorsi pace, percorsi di amore, percorsi di rinnovata speranza. Due sono i segni che fanno prevalere la speranza sulla tristezza dei presagi. Il primo è il volto del padre. Il Signore ci aiuterà. Dobbiamo camminare alla luce del suo volto e, riscoperta la tenerezza della sua paternità, impegnarci nell’osservanza della sua legge.
Il secondo è il grembo della madre. Tutti i nostri buoni propositi prenderanno carne e sangue se saranno gestiti nel grembo di Maria. È il luogo teologico fondamentale, dove i grandi progetti di salvezza si fanno evento. Il figlio della pace ha trovato dimora in quel grembo. Oggi è in quel grembo che avrà concepimento e gestazione la pace dei figli. Per cui la festa di Maria Madre di Dio, mentre ci ricorda le altezze di gloria a cui la creatura umana è stata chiamata, ci esorta a sentirci teneramente figli di lei, da riscoprire in quell’unico grembo le ragioni ultime del nostro impegno di fratellanza e di pace.”