Luca ci racconta scena delle origini, scena da stampare nel cuore. Lo fa quasi al rallentatore, per farci comprendere l’estrema importanza di questo momento. «Gesù arrotola il volume, lo consegna, si siede. Tutti gli occhi sono fissi su di lui». Risuonano le prime parole ufficiali di Gesù, «oggi la parola di Isaia diventa carne»: si chiudono i libri e si apre la vita. Dalla carta scritta al respiro vivo. Dall’antico profeta a un rabbi che non impone pesi, ma li toglie, non porta precetti, ma libertà.
Non di un nuovo profeta si tratta, né del più grande dei profeti. Gesù realizza la parola di Dio, Egli è la Parola. È lui l’uomo sognato da Isaia, libero come nessuno, e i suoi giorni sono benevolenza e accoglienza.
L’umanità è tutta in quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa. Sono i quattro nomi dell’uomo. Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo.
Con quattro obiettivi: portare gioia, libertà, occhi nuovi, liberazione. E poi con un quinto perché spalanca il cielo, delinea uno dei tratti più belli del volto di Dio: «proclamare l’anno di grazia del Signore», un anno, un secolo, mille anni, una storia intera fatta solo di benevolenza, perché Dio non solo è buono, ma esclusivamente buono, incondizionatamente buono. I primi destinatari sono i poveri. Sono loro i principi del Regno, e Dio sta alla loro ombra. È importante: nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che non la parola peccatori. La Buona Notizia non è una morale più esigente o più elastica, ma Dio che si china come madre sul figlio che soffre, come ricchezza per il povero, come occhi per il cieco, come libertà da tutte le prigioni, come incremento d’umano.
Dio non mette come scopo della storia se stesso, ma l’uomo; il Regno che Gesù annuncia non è un Dio che riprende il potere su una umanità ribelle e la riconduce all’ubbidienza, per essere servito, ma il Regno è un uomo gioioso, libero da maschere e da paure, dall’occhio luminoso e penetrante, incamminato nel sole. Un sublime capovolgimento. Dio dimentica se stesso, non di sé si ricorda, ma di noi: non offre libertà in cambio di ossequio, ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio. La parola chiave del programma di Gesù è libertà, ripetuta due volte.
Tutti gli occhi erano fissi su di lui. Gesù davanti a quella piccolissima comunità presenta il suo sogno di un mondo nuovo. E sono solo parole di speranza per chi è stanco, o è vittima, o non ce la fa più: sono venuto a incoraggiare, a portare buone notizie, a liberare, a ridare vista. Testo che ridà forza per lottare, apre il cielo alle vie della speranza. Gesù non si interroga se quel prigioniero sia buono o cattivo; a lui non importa se il cieco sia onesto o peccatore, se il lebbroso meriti o no la guarigione. C’è buio e dolore e tanto basta per far piaga nel cuore di Dio. Solo così la grazia è grazia e non calcolo o merito. Il regno di Dio è un regno per gli uomini. Solo questo sta a cuore a Gesù, che questo Dio è un Dio di uomini. Che si rivolge a tutte le povertà, alla fame di pane e a quella di senso, perché l’uomo preferisce morire di fame che morire di assurdo. Che colma la tua vita non di cose, ma di persone. Da amare.
E si schiera, non è imparziale il nostro Dio: sta dalla parte degli ultimi, mai con gli oppressori; viene come fonte di libere vite e mai causa di asservimenti. Gesù non è venuto per riportare i lontani a Dio, ma per portare Dio ai lontani, a uomini e donne senza speranza, per aprirli a tutte le loro immense potenzialità di vita, di lavoro, di creatività, di relazione, di intelligenza, di amore.
Il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato della persona, il suo primo sguardo va sempre sulla povertà e sul bisogno dell’uomo. La buona notizia di Gesù non è neppure il perdono dei peccati. La buona notizia è che Dio è per l’uomo, mette la creatura al centro, e dimentica se stesso per lui. E schiera la sua potenza di liberazione contro tutte le oppressioni esterne, contro tutte le chiusure interne, perché la storia diventi “altra” da quello che è. Un Dio sempre in favore dell’uomo e mai contro l’uomo. Nella sinagoga di Nazareth è allora l’umanità che si rialza e riprende il suo cammino verso il cuore della vita, il cui nome è gioia, libertà e pienezza. Non per propria forza, ma per un seme di luce venuto da altrove. E Dio è il suo vento.
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione…”. Importante ascoltare, anche oggi, fissando gli occhi su di lui, per che cosa Gesù è stato unto e consacrato dallo Spirito. “Per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato… “. Fate attenzione, è scritto per che cosa fu consacrato, per che cosa mandato: “a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”.
Categorie di umanità sofferente. Nei suoi occhi l’umanità dolente. Per loro. Ecco, consacrato, per che cosa. “Consacrato” è un termine che usiamo ancora oggi nella comunità cristiana per indicare preti, religiosi, donne e uomini di consacrazione speciale. Ma che cosa leghiamo alla parola consacrati? Leghiamo l’attenzione di Gesù ai sofferenti? O al contrario la parola “consacrazione” evoca un immaginario separato dalla vita? Osservate se in questo programma assunto da Gesù nella sinagoga ci si distanzi dalla vita, quanto Gesù si ponga separato dalla vita. Passa in rassegna categorie: poveri, prigionieri, ciechi oppressi. Da liberare. E un anno dì grazia, cioè di gratuito, da proclamare, l’anno del gratuito.
Se è vero, come è vero, che lui è stato consacrato per questo, non dovremo forse concludere che noi Gesù lo abbiamo sconsacrato quando abbiamo cancellata questa come sua missione o ne abbiamo messa come prioritaria magari un’altra? La sapienza, il senso del vivere per lui sta qui, e non in uno spirituale disincarnato. Ecco, come Gesù, ogni credente sa ora da dove ripartire: dalle periferie della storia e del mondo, dagli uomini del pane amaro, dagli affamati di tenerezza, dagli esclusi. E ricomporre in unità i frammenti di questo mondo esploso.
+ Don Mimmo Battaglia